foto di Doriano Brunel, per gentile concessione
E luce fu.
La storia del Consorzio Elettrico di Pozza.
Un'avventura raccontata da Paolo Rasom
L'economia di montagna era povera, lo è stata per secoli. La gente, uomini e donne di Fassa, emigravano, fortunatamente in forma stagionale, dalla primavera all'autunno. Ritornavano in valle avendo visto e vissuto.
Alla fine dell'800, nelle aree industrializzate s'inizia a sfruttare l'acqua per produrre energia elettrica e gli uomini che lavorano all'estero, tornano con l'idea di poter adoperare questo nuovo sistema utilizzando l'acqua dei ruscelli di montagna. Uno di questi in particolare si presta allo scopo: il ruf de Sèn Nicolò.
Il ruscello, ma di ruscello ha solo il nome, perché la sua forza è notoriamente dirompente - tant'è che anticamente portava il nome Ruacia (frana, smottamento) -, nasce nel cuore dei Monzoni e si getta nell'Avisio, a Pozza. A memoria d'uomo e di donna si ricordano i danni che questo rio, burbero e lunatico, poteva arrecare.
Si ricorda, per esempio, un avvenimento di poco meno di un secolo fa. Il torrente, completamente fuori dagli argini, era pronto a mangiarsi l'abitato di Meida, facendo sua per prima la chiesetta dov'erano riuniti i fedeli per la celebrazione. Un uomo entrò in chiesa e avvisò del pericolo, ma il prete ordinò di aspettare l'elevazione dell'ostia. I fedeli obbedirono e l'acqua passò oltre, lambendo la chiesa e lasciandola indenne. La fede, si racconta, salvò la chiesa e limitò i danni. Gli avvenimenti di allora si mescolano ai vissuti e questi alle credenze di un popolo.
Paolo Rasom, detto Paolin de Rajum, è (Paolin è venuto a mancare recentemente) la memoria storica di tanti vissuti e molti avvenimenti della val di Fassa. Fra queste, è la voce viva che può raccontare l'avventura di un gruppo di persone che nel 1914 si aggregò in forma di cooperativa per portare in valle l'energia elettrica.
Gli inizi sono difficili. I soci della Cooperativa nata per dare la luce alla valle devono trovare i soldi per fare il progetto e comprare la prima turbina. I soci si autofinanziano, prestando la propria opera "a scuf" (che in ladino significa lavorare gratis per il bene della comunità), apportando denaro guadagnato all'estero oppure ricavato dalla vendita di un vitello.
Quando tutto sembra pronto per iniziare i lavori, scoppia la prima guerra mondiale e il progetto si blocca, anche perché il fronte austro-ungarico passa esattamente lì dove si pensava di costruire la centrale.
Dopo la guerra, la valle si ritrova italiana e bisogna ricominciare tutto daccapo. Si va alla ricerca dei primi progetti e si riparte. Si ricomincia con tutto, anche con i finanziamenti, poiché dell'anteguerra si è perso tutto. Un nuovo versamento di quote e ancora indebita- mento da parte delle famiglie che perseguono l'idea con una determinazione ammirevole che avrà dell'incredibile quando la Cooperativa diventata Consorzio si troverà quasi costretta a vendere per le difficoltà insormontabili.
Intanto si lavora e si lavora duro. E il lavoro porta il suo frutto. Per il Maitìn del 1922, la messa di mezzanotte, la chiesa di San Giovanni - che vede riuniti uomini e donne, vecchi e bambini, di Soraga, Vigo e Pozza e tutte le loro frazioni -, è illuminata per la prima volta con la luce elettrica. È un avvenimento eccezionale, e non è difficile immaginare l'emozione di quella gente. La commozione di vedere una cosa mai vista.
Si possono allacciare alla corrente le prime case, da Pozza fino a Canazei. Sistemi ancora rudimentali ma funzionanti. L'energia non è tanta. In casa, racconta Paolin, c'erano tre lampadine: una nella "stua" (stube), una in cucina e la più grande e importante, in stalla. Serviva per illuminare ma soprattutto per scaldare quel poco e povero bestiame che la famiglia possedeva.
La situazione di cassa è un disastro, il debito enorme. Si pensa di sospendere tutto, ma la gente non vuole. Le donne che hanno lavorato nei bellissimi hotel delle grandi città, hanno capito che non si può rinunciare all'energia e convincono i mariti a non mollare. Gli uomini tengono duro e studiano una strategia.
Un socio è incaricato di andare a chiedere un prestito di 5.000 lire, una cifra enorme per quei tempi, che sarà restituito in tre anni con un nuovo impegno da parte dei soci. Allora come ora chiedere un prestito esigeva garanzie. Paolin è bravo a raccontare: c'è un uomo che di buon mattino da Pozza prende la corriera e arriva a Predazzo dove chiede di parlare con il presidente della Cassa Rurale. È un uomo coraggioso ma anche umile, è determinato e sa di essere la persona che farà la differenza per il suo paese. L'uomo porta su di sé il peso del destino di una cooperativa di gente indebitata fino al collo, volonterosa e oltremodo caparbia, ma senza un soldo.
Come sarebbe stato facile per quel presidente e per quella banca umiliare e schiacciare quella povera gente attraverso quell'uomo che portava tutta la vulnerabilità della sua comunità! Invece vincono la solidarietà e il rispetto. Il Presidente vuole vedere le carte e alla fine consegna le 5.000 lire in contanti al socio. Con una stretta di mano il patto è siglato. In tre anni i fassani ripagheranno i loro debiti e la fiducia non sarà tradita.
Continuarono anni di grandissimi sacrifici per le famiglie che erano socie, però ci cre- devano fino in fondo e non mollarono mai. Il crollo di Wall Street, così lontano ma così vicino, toccò anche le sorti del Consorzio. Di nuovo debiti, di nuovo cambiali da firmare. Con il turismo che lentamente prende piede, bisogna in ogni modo aggiungere una turbina. Altri debiti, altre cambiali. Nessuno molla. Una vedova con cinque figli per non tradire l'ideale del marito, vende un pezzo di terreno per far fronte ai suoi impegni nei confronti del Consorzio. Una storia fra le tante che si potrebbero raccontare e descrivono l'ostinazione di questa gente.
Le cose vanno avanti, con fatica, anche se la corrente c'è e si può utilizzare per i primi alberghi e le imprese artigiane che possono acquistare e utilizzare finalmente macchinari elettrici. Durante la seconda guerra mondiale le cose procedono fra alti e bassi. Ci sono alcuni tentativi di acquisto. La tenacia di non vendere qualcosa per cui si è così tanto lavorato e fatto squadra, vince sempre.
Nel 1962 lo Stato dà inizio alla nazionalizzazione ma il Consorzio Elettrico di Pozza si salva perché è fra i pochissimi in provincia che produce energia a sufficienza. Negli anni '70 e '80 si assiste al boom turistico e c'è la necessità di tanta energia. Le cose si fanno più professionali e il direttore vuole aprire una centrale utilizzando l'acqua dell'Avisio. Ci riesce, nonostante le mille difficoltà. Con la nuova centrale di Soraga inaugurata nel 1988 le cose iniziano finalmente a mettersi bene.
Ci sono i primi incentivi per l'energia sostenibile e i debiti diventano, grazie al cielo, altrettanto sostenibili. Il Consorzio inizia a stare bene e fare nuovi investimenti strutturali, oltre a poter concedere ai soci tariffe molto vantaggiose.
Essere soci del consorzio non vuol dire solo sconti e facilitazioni. Essere soci significa condividere un ideale, far parte di una comunità che crede che in quello che persegue, che discute fino allo sfinimento sulle decisioni da prendere insieme, discussione dopo discussione, che s'indebita per realizzare uno scopo, cambiale dopo cambiale, anno dopo anno. L'acqua è un bene di tutti, lo sapevano bene i nostri antenati. Una risorsa che deve rima- nere di proprietà della collettività e non deve procurare ricchezza solo a pochi. L'acqua che non c'è o non è a disposizione di chi ha il diritto di averla sarà un tema su cui si discuterà e litigherà nei prossimi decenni, soprattutto nei paesi più poveri del mondo.
La storia del Consorzio elettrico di Pozza è una storia di coraggio di una piccola comunità che ha ostinatamente lottato per fruire della sua acqua, e può essere un piccolo esem-pio per tutte le comunità che nel futuro dovranno combattere per decidere dell'acqua che potrà garantire la loro sopravvivenza.