A piccoli passi...

Ulrike Kindl racconta di sè e delle valli ladine


Ulrike Kindl, originaria di Parcines, vicino a Merano, è stata una delle prime studiose dell'opera di Karl Felix Wolff (autore che raccolse le leggende dolomitiche nei primi del '900 e le pubblicò nel celeberrimo volume "Die Dolomitensagen"). Nel corso della sua lunga carriera accademica si è occupata di lingua, tradizioni e folclore delle genti ladine, oltre a sviluppare altri campi di ricerca, in particolare la didattica delle lingue, la medievistica e la letteratura tedesca. Dal 1985 al 2012 è stata professoressa all'Università di Venezia, dove ha insegnato lingua e letteratura tedesca. Collabora da sempre con gli istituti ladini di Vigo di Fassa e San Martino in val Badia.

Ti ricordi come sei entrata in contatto con il mondo ladino?
Non me lo ricordo perché ero neonata. Quando io sono nata mia mamma lavorava, e in quegli anni - sono nata nel 1951 - dopo sei settimane dovevi ritornare al lavoro, tanti soldi in casa non ce n'erano e mia mamma ha trovato una tata della val Badia che è poi rimasta con noi per sei anni, fin che si è sposata. Lei era la mia adoratissima "Aghi" (Agnese) e io ero il suo sgnech (piccola lumachina). Stava da noi tutto l'inverno, al todesch, e d'estate tornava a casa con la garanzia di essere riassunta il primo ottobre. Con me parlava badiot, ora lo capisco ancora ma l'ho perso moltissimo. Il ladino ce l'ho proprio nel cuore. Quando ero bambina e poi ragazzina, durante l'estate i miei mi mandavano in val di Braies da un parente, al maso Steinwandterhof. Lí le nostre feide (pecore) andavano libere su per i pascoli e la incontravo di nuovo il mondo ladino, i Krautwalsche come li chiamavano i miei parenti. Ho sempre notato però che non c'era, almeno allora (erano la fine degli anni '50 e i primi anni '60), nessun tipo di astio nei confronti dei ladini, sie waren Krautwalsche und das war ganz normal. Mi ricordo che quando ci serviva aiuto arrivavano ragazze da questo territorio, molto povero allora, a darci una mano. Un altro vecchio legame con il mondo ladino risale a quando da bambina ho imparato a leggere e scrivere, ho letto le Dolomitensagen del Wolff che erano raccolte in quattro volumetti. Avrò avuto sí e no sette anni quando li ho letti.. e tutto mica riuscivo a capire, poi me li ha letti e spiegati mio padre. Mio padre sapeva molte cose dei ladini perché aveva dei contatti con la val di Fassa. Lì conosceva gente per via della guerra e mi raccontava di quella valle. A 19 anni sono venuta a Venezia per studiare lingue, germanistica, medievistica, slavistica ma rimaneva sempre la questione di questo legame con una popolazione di tradizioni legate con l'Eurasia. Una cosa che mi ha insegnato Matičetov, grande esperto di studi folclorici, che una comprensione delle tradizioni dell'arco alpino va cercata nei movimenti da est a ovest e non solo da nord a sud, come spesso facciamo l'errore di fare. Molte conoscenze e molto sapere è arrivato da est per esempio. Nell'arco alpino, per una questione di isolamento, queste cose si sono mantenute più a lungo, ma prima sicuramente erano diffuse in un'area molto più vasta. Poi mi sono occupata di linguistica, di letteratura, in particolare la letteratura tedesca del primo '800 con la nascita della nazione tedesca. Gli studi grimmiani sono stati per me la chiave di volta. Lì ho capito come il Wolff aveva interpretato le leggende delle Dolomiti, qual era il suo background culturale. Wolff ha ricostruito le leggende sul filone grimmiano, ma i ladini non sono popolazioni tedesche, bisognava invece cercare verso sud, verso il mondo mediterraneo poiché la cultura definitiva, quella ultima è quella galloromanza, infine romanza. Quindi bisognava andare verso Aquileia, verso Venezia e da qui il salto verso i Balcani è un attimo ed è quello che ho fatto con la "ricostruzione della ricostruzione" del Wolff. Poi sono nate le collaborazioni con gli istituti culturali ladini e da cosa nasce cosa. A me è sempre piaciuta la mia consapevolezza di appartenere a due lingue, a due modi di prendere visione del mondo, di avere due anime e ho capito che forse l'anima più profonda dell'Alto Adige è quella ladina. Non dimentichiamo che tutto l'Alto Adige era ladino, l'elemento ladino è la radice più profonda, l'origine più antica, tutta l'area tirolese lo dovrebbe tenere presente, visto che ce l'ha, questa grazia di avere una radice che scende così in profondità.

La presenza delle donne ladine emerge in modo significativo due volte nel corso della storia nella storia, nel mito delle origini e durante la caccia alle streghe. Perché le donne ladine "streghe"?

Il tema delle streghe è un tema molto complesso e deve essere analizzato sotto diversi aspetti. Non dobbiamo innazittutto dimenticare il momento storico in cui si è sviluppato questo fenomeno, un momento molto lungo e contrastato, che è durato più di duecento anni, dove gli aspetti politici e religiosi si intrecciavano in lotte di potere e dove, dobbiamo ricordare, il mondo stava modificando il proprio modo di vedere le cose. Da una visione medievale ci si muoveva verso una visione razionale della realtà. In questo contesto c'era una grandissima confusione ed è dentro questa confusione che dobbiamo cercare di capire il fenomeno della stregoneria. L'area delle valli ladine si trovava poi proprio nel bel mezzo di due mondi, quello cattolico e quello protestante, l'impatto del Concilio di Trento fu sicuramente decisivo, basti pensare che la Chiesa riuscì a riconquistare i propri fedeli con le misure attuate dopo il Concilio verso nord, su fino al Danubio. Attenzione però anche a non considerare un binomio indissolubile controriforma e caccia alle streghe. Pure i paesi protestanti ebbero un bel numero di donne e uomini a cui dettero la caccia perché considerati streghe e stregoni (anche il mito che solo le donne furono oggetto di persecuzione bisogna sfatarlo, ci furono tantissimi uomini tacciati di stregoneria, processati e uccisi), il tutto proprio perché stava cambiando la visione religiosa di molti popoli e i protestanti, a differenza della Chiesa cattolica, erano al punto di dover creare una propria ortodossia religiosa e i primi passi non furono sicuramente facili. È anche vero però che è proprio nei paesi protestanti che ebbe inizio una prima discussione sul fenomeno e sulle pratiche in vigore sui modi di affrontare questo tema scottante. La stregoneria è un fenomeno antichissimo, ma fino alla fine del medioevo esso non era considerato frutto del patto con il diavolo; la presenza del sovrannaturale era ovvia e quotidiana, e di conseguenza anche la magia faceva parte delle relazioni fra esseri umani, ciascuno aveva in mano gli strumenti per far fronte ad un incantesimo o ad una iattura. È solo quando la Chiesa introduce l'elemento diabolico, l'accusa di eresia, che queste pratiche cambiamo completamente prospettiva e la gente si ritrova spaesata, non capisce più come orientarsi. Il disorientamento è forse la caratteristica più evidente di questi due secoli, di profondi cambiamenti non solo dei singoli individui ma di intere società che stavano attraversando il guado per avvicinarsi ai tempi moderni.

È possibile che da questo momento in poi le donne abbiano rinunciato a certi "poteri", quali la medicina tradizionale o la loro conoscenza in temi quali la fertilità o altro che avrebbero potuto mettere in pericolo la loro vita?

Potrebbe essere, anche se come dicevo prima, l'illuminismo con le sue pratiche razionali, la nascita delle nuove scienze, stava prendendo piede e anche se le valli ladine erano ancora molto isolate, era il mondo intero che stava cambiando. Se prendiamo il tema della fertilità (nascita o non nascita con annessi e connessi), fino ad allora era in mano delle donne, era impensabile che l'argomento non fosse loro, erano a conoscenza di metodi e medicamenti tramandati da secoli. A partire da questo momento, anche se molto lentamente, questa sapienza va a perdersi per entrare, con un altro tipo di sapienza, nelle mani della medicina erudita, dominio ora maschile. Che poi sia stato un appropriarsi consapevole o meno, il passaggio alla medicina classica significava comunque togliere un dominio fino ad allora governato dalle donne, un dominio precluso per ovvie ragioni al mondo maschile. Infatti se osserviamo bene, molti temi relativi alla stregoneria, sono collegati proprio ai domini femminili, la fertilità delle donne e degli animali, la salute di bambini, adulti ma anche animali domestici, il benessere in generale della casa, del bestiame, del raccolto e altro ancora. Non ultimo per esempio la capacità di leggere i segnai, cioè i segni del tempo e del destino per cogliere l'occasione propizia oppure preparare in tempo le necessarie difese contro la mala sorte. Ovvio che l'autorità ufficiale, la Chiesa in primo luogo, non poteva tollerare alcuna "concorrenza" alla fede dominante e che coglieva quindi l'occasione della caccia alle streghe per rafforzare il suo controllo sul territorio. Davvero pericolosi per la comunità si consideravano allora del resto piuttosto gli stregoni, non le streghe. Le streghe certo erano nocive, ed in quanto donne più esposte alle tentazioni del demonio, ma proprio per la loro postulata inferiorità non avrebbero dovuto essere nemmeno capaci di grandi peccati teologici. Si creò una confusione epica, tragicissima, tra la figura della strega primordiale, con cui le società pre-illuministiche sono convissute per millenni, e la nuova strega per così dire quasi "scientifica", costruita dall'ossessione persecutoria del primo Cinquecento. I roghi della caccia alle streghe non li hanno accesi i cosiddetti secoli bui, era la crisi del passaggio dal medioevo all'epoca moderna a creare l'isterismo del capro espiatorio a tutti i costi. Che in questo coacervo di concause storiche abbia giocato un suo ruolo anche il vecchio desiderio di esautorare le donne del loro indiscutibile potere sulla fertilità, è lecito supporre. Come si vede il tema è oltremodo complesso.

Quale società 'accoglieva' le donne nelle valli ladine?

Molto spesso si sente parlare di una possibile società matriarcale nelle valli ladine, anche perché molte figure nei miti delle origini sono femminili, ma dobbiamo stare molto attenti: la presenza di figure femminili nell'immaginario mitico-religioso non segnala assolutamente per analogia un ruolo sociale eminente della donna. La visualizzazione della fertilità, della capacità di generare sotto sembianze femminee è una costellazione quasi ubiquitaria, non descrive il ruolo della donna reale. Sotto questo aspetto solo l'archeologia potrebbe in caso aiutarci a scoprire qualcosa di nuovo. Ci è dato sapere che solo in alcuni casi, in alcune zone dell'Asia sono esistite concretamente società matriarcali. Bisognerebbe prima definire bene cosa si intende per "società matriarcale": non si tratta semplicemente di un rovescio della società patriarcale (evoluta), ma piuttosto di una società (arcaica), organizzata secondo criteri di coesione sociale particolari. Il punto cruciale è sempre il dominio sul territorio, sui beni e sulla prole. Ovvio che il ruolo della donna cambia se ha per esempio la disposizione sul patrimonio oppure il dominio sulla discendenza. Se i figli sono di proprietà delle madri (o comunque della famiglia materna), allora abbiamo un forte indizio di organizzazione sociale di tipo matriarcale. Per quanto riguarda le valli ladine penso sia improbabile pensare sia esistita una società matriarcale. È più realistico invece pensare ad una società patriarcale dove la donna aveva un proprio ruolo, che era ben definito, all'interno del gruppo in cui viveva. Le donne ladine, per il fatto di vivere nelle viles o in regime di Regole o Comunità (che se guardiamo bene le due cose non distano molto l'una dall'altra) non erano mai completamente isolate. Insieme alla coppia vivevano in genere i genitori di lui o di lei e altri familiari. In questo modo era naturale che il marito non avesse un potere esclusivo proprio per il fatto che i contatti sociali erano molto più numerosi e dinamici. Fin che esistono comunità rurali, il potere simbolico sarà sempre in mano al maschio, perché è lui che porta l'aratro, lui che ha la forza per muovere la terra. Che poi la donna abbia avuto un proprio ruolo, basti pensare all'assenza dei maschi per l'emigrazione stagionale una volta passato il tempo dell'aratura, o ancora prima nel tempo, per la transumanza, ciò è innegabile. Era la donna che gestiva da quel momento in poi i campi, il bestiame e la famiglia. E per questo era, sicuramente, rispettata dagli uomini. A mio vedere, i ruoli erano ben distinti, ed era questa divisione netta che permetteva la sopravvivenza della famiglia. Una donna che sapeva 'reggere' il maso e un uomo che sapeva 'arare' erano il binomio di successo proprio in quelle economie di sussistenza quali quelle ladine. Dobbiamo sempre pensare secondo i criteri di allora, le caratteristiche che davano prestigio ad una donna non erano chiaramente quelle di oggi, la finalità nella ricerca di una sposa o di uno sposo era nel verificare la possibilità di avere un futuro, una prospettiva di sopravvivenza.

Qual era il ruolo della donna nella trasmissione di saperi? E quali saperi?

Oltre chiaramente il fatto che le donne trasmettevano oralmente i saperi utili alla cura di persone e animali, le donne custodivano e tramandavo anche un altro sapere, quello legato alla storia e alle origini. Mentre filavano raccontavano, quando erano insieme fra loro cantavano, quando cullavano i bambini ninnavano; era una trasmissione molto preziosa proprio perché ancorava le donne ad un proprio esserci e ad un proprio divenire. Anche i maschi chiaramente avevano il loro ruolo in questo, basti pensare alle falòpe e alle patofie, ma questo è ancora un altro genere di trasmissione orale. Le donne possedevano il sapere antico e arcaico. Quando mi sono ritrovata a leggere in modo più approfondito le contìes raccolte dal Wolff mi sono resa conto che c'era qualcosa di particolare. Per esempio il fatto che le contìes ci dicano che i primi uomini e le prime donne erano di pietra (i Croderes) o in forma di animali (marmotte), come narrato nelle leggende del Regno dei Fanes, mi ha fatto fermare e riflettere. Queste leggende sono molto particolari e posso dire uniche, non hanno alcun riscontro nelle altre tradizioni presenti nell'arco alpino. Questo mi dice che i ladini e le ladine avevano creato un proprio mito delle origini che non è classificabile in nessuna categorizzazione fino ad oggi elaborata per la categoria delle fiabe e leggende. Le fiabe, diciamo "dozzinali" e le leggende tipiche di streghe e altri personaggi numinosi sono certamente presenti nell'immaginario ladino, ce lo testimoniano le raccolte classiche, tipo Heyl o Zingerle, ma accanto ed oltre si sono - e il Wolff non se li è inventate, anche se spesso non ne ha capito la portata - dei racconti di una dimensione ben diversa. Il regno dei Fanes ha la stoffa, possiamo dirlo, alla stregua dei miti di Omero per le popolazioni meditteranee, delle saghe dei Nibelunghi per le popolazioni germaniche e cosi via. Dobbiamo renderci conto di questo, le contìes sono un grande patrimonio culturale per i ladini.

Del filare e del raccontare. Lavoro domestico, lavoro culturale. Ci vedi un nesso?

Il lavoro delle donne è stato per anni pesante, pesantissimo, non dobbiamo dimenticare quanto hanno faticato le nostre antenate. È vero, rispetto a noi, loro 'producevano', avevano in mano il prodotto dall'inizio alla fine. Lavoravano la terra e avevano il mangiare per i figli, filavano e avevano la lana per coprirli, cosa che forse non riusciamo più a capire bene, loro 'vedevano' le cose nascere e crescere; noi vediamo solo la consumazione. Le cose sono cambiate, per fortuna, la donna ha potuto liberarsi di quel giogo pesante e conquistare almeno la libertà di scegliere. Che poi la vita di molte donne oggi sia faticosissima comunque, è un altro dato di fatto. Ma la libertà è ciò che ci contraddistingue dalle donne delle epoche precedenti.

La particolare conformazione geografica, la presenza di montagne così originali, il paesaggio come hanno influito nel processo identitario?

È chiaro che vivendo in un mondo di montagne, il mito delle origini non poteva che partire da questo paesaggio. È per questo che per tantissimo tempo le montagne sono state considerate intoccabili, irraggiungibili, incuotevano paura e non erano frequentate. Possiamo invero immaginare che vivere in un contesto così particolare possa influenzare il senso di appartenenza al territorio, che questo contesto possa dare vita ad un processo di identificazione molto particolare. Il senso di heimat, pur se piccola, è anche definibile, oltre che da una lingua, da un particolare e definito territorio. I ladini il loro territorio lo hanno sempre definito, le valli del Sella e Cortina d'Ampezzo, mi sembra, no? Chiaramente il legame forte con il territorio, l'amore per la propria terra non è esclusiva dei ladini, pensiamo ai friulani (che molto condividono con i ladini delle Dolomiti) per esempio, che pur hanno dovuto lasciare la propria terra per poter sopravvivere. Nelle valli ladine, che pur erano poverissime, si era in grado di provvedere alla sopravvivenza, forse aiutate da forme di emigrazione stagionale. Di conseguenza il legame con il territorio veniva mantenuto molto saldo. Se non ci sono le condizioni per sopravvivere però, credo che anche le più belle montagne non possano resistere all'abbandono. Pensando poi al tema dell'abbandono e della nostalgia della propria terra, questo è presente in molte leggende, in particolare, e ne è un bell'esempio, la contìa di Lusor de Luna, i salvans che filavano i raggi di luna per permettere alla principessa bianca di guarire dal suo mal di patria e avere una vita davanti, bello no? Più l'attaccamento alla terra è forte, più le radici sono profonde, più fatica si fa ad andare via, a trovare casa in un altrove.

Come vedi adesso la Ladinia?

Io la vedo con molta, molta preoccupazione. Spero che i ladini si accorgano del valore che hanno in mano, anche se fosse la scoperta del plusvalore a beneficio di un marketing turistico, fa lo stesso, importante che ci sia consapevolezza. Vedo che il patrimonio culturale sta andando do ju brea, sul serio. Bisogna globalizzarsi, questo è innegabile, ma dipende da come si fa questo. Puoi resistere nella globalizzazione, puoi essere cittadino nel mondo se hai una patria dove sei veramente verortet, dove le tue radici vanno fino al centro della terra. In questo caso non hai nulla da temere, più chiara è la tua identità, più profondamente questa è ancorata, più tollerante sei. Hai soltanto da guadagnare, non devi dimostrare niente a nessuno. I ladini pur avendo la profondità storica non riescono a fare patrimonio di questo dono. Sono e saranno sempre costretti a vivere su due lingue (ora devono aggiungerci anche l'inglese) perché vivono su questa falda, diciamo così, fra il mondo germanofono e quello italofono, dovranno essere aperti ad una personalità multiculturale. Questo secondo me è un grande vantaggio, ma per non perdere la "ladinità" in questo scontro continuo devi curare le tue radici. Non significa chiudersi, significa rassicurarsi delle proprie radici per essere aperti al mondo. Al momento vedo una grande dispersione di forze, in particolare per la questione della lingua minoritaria. Queste forze andrebbero utilizzare invece per creare una sicurezza della propria cultura e della propria lingua, usata il modo più naturale come centrale mezzo di comunicazione. Alla sicurezza del territorio ci pensa per fortuna la natura. Per la cultura servono insegnanti disponibili e preparati a trasmetterla perché i bambini dal canto loro sono come uccellini, basta solo imboccarli. Il grande problema e la pietra decisiva, la prova del nove, sarà la questione della lingua. Scornatevi pure fra di voi, ma tenete viva la lingua ladina, a tutti i costi, non ci sarà identità ladina senza la lingua. Bisogna però capire che non ci sarà speranza a lungo termine fino a quando la lingua ladina rimane solo un insieme di idiomi. I ladini hanno a che fare ai loro confini con due lingue che hanno fatto l'Europa, devono resistere all'italiano e al tedesco, ci rendiamo conto di questo? Devono tirare fuori le unghie, farsi sentire, è una questione politica e bisogna esserci. L'esiguità dei parlanti non è un problema, anche se pochi ma consapevoli e orgogliosi, questo è il nuovo punto di partenza.

Perché si fa sempre così fatica a riconoscere il bello che ci appartiene?

Per quanto riguarda i ladini penso sia un retaggio dato da una vecchia forma di arretratezza. Ora i ladini godono di grande prestigio, vuoi per il benessere economico che hanno raggiunto, vuoi per le forme folcloristiche così particolari. Ma non sempre è stato così. Quando le valli erano isolate ed erano poverissime e l'istruzione era poca, i ladini erano considerati gente contadina, magari un po' rozza che viveva in posti completamente sconosciuti e mai visti. Questo fatto molto probabilmente è rimasto nelle teste dei ladini e per cambiare, far diventare qualcosa che prima era motivo di vergogna a qualcosa che invece rende orgogliosi ci vuole un passaggio culturale, un cambio di prospettiva che può avvenire se c'è anche un crescere culturale. Queste cose, così intime e così emotive, sono radicate dentro di noi che non sempre riusciamo neanche noi stessi a capire le motivazioni e le ragioni di questo o quell'altro. È un fatto però che ora i ladini hanno tutte le occasioni e le possibilità per crescere, devono solo volerlo.

(Intervista realizzata nel 2009)


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