Sabina e le leggende dolomitiche

Sabina Barbuntoiu è cresciuta in Romania, a Buşteni. La sua mamma e la sua nonna le leggevano tante fiabe e tanti racconti, fra questi anche le leggende delle Dolomiti, tradotte in rumeno dalla versione italiana "Le sette fiabe delle Dolomiti" di Elena Tessadri (edizioni l'Ariete, Milano 1966). Sabina se ne era innamorata e il destino ha fatto in modo che venisse a vivere proprio qui, dove le leggende hanno la loro origine.


Fotografie da sinistra (o dall'alto):

1. alunni rumeni, italiano e tedeschi a Buşteni

2. Sabina con il papà, appassionato alpinista e tra i fondatori del soccorso in montagna

3. Coro composto da rumeni, italiani (friulani) e tedeschi. Prsesentavano un repertorio multilingue


Qual è, Sabina, la leggenda delle Dolomiti che più ti piace?

Quella con la principessa Tanna. Innamorata dei mortali. Se ci penso ora, mi piaceva già allora quella sua vena ecologica - possiamo dire? - di proteggere l'ambiente, i ghiacciai... era una regina attualissima e molto moderna. Poi, aveva avuto un figlio con un mortale, accentando tutte le conseguenze: la perdita della corona, i voltafaccia, i tradimenti... E alla fine è rimasta con i suoi Crodères e ha lasciato che le valanghe seguissero il loro destino.

Io vivevo nelle montagne rumene e questo rendeva le leggende dolomitiche molto vicine alla mia vita. Vivevo fra gente di montagna, gente che deve avere rispetto per la natura. Da noi si dice che se non ami la montagna, la montagna non ti amerà mai. Loro ti sono amiche, se tu sei loro amica. Poi, sai, nella mia zona a quei tempi, c'erano molti eredi dei vecchi contrabbandieri e così l a montagna la conoscevano per forza (ride).

Poi, mio papà era un alpinista appassionato. Nel 1969 è stato fra i fondatori del soccorso in montagna "Salvamont Romania" e mi portava sempre in montagna, ancora prima di essere in grado di camminare.

Come ti è arrivato in mano il libro delle leggende?

Queste leggende erano apparse in Romania negli anni '60 e siccome i miei mi compravano tutto quello che poteva essere utile per educare bene un bambino, quel libro era arrivano in casa nostra (ce l'ho ancora!). Mia mamma mi leggeva queste leggende, poi le ho lette da sola. Mi ero innamorata dei racconti, così originali, con elementi nuovi, diverse dalle altre storie che leggevo!

Non capivo, per esempio, perché si parlasse di Venezia. Che cosa c'entrava Venezia con il lago di Misurina e con il Tirolo? Così a otto anni ho fatto la mia prima piccola ricerca, pensa un po'!

Devo dire, inoltre, che erano state tradotte benissimo. La traduttrice (Tatiana Popescu Ulmu, ndr) traduttore aveva fatto un lavoro egregio. Era, devo dire ora una traduttrice straordinaria!

Quali altre opere della letteratura del mondo italiano hai avuto occasione di leggere da bambina?

Pinocchio non mi è mai piaciuto. De Amicis era tristissimo. Invece, che fascino Gianni Rodari! Ho amato da morire "Fiabe al telefono". Un grande amore, ricordo benissimo. Andavo dalla nonna con tutte quelle storie strambe e alla fine mi cacciava via, perché la mia fantasia andava insieme a quella di Rodari. Figuriamoci la nonna, donna pratica, che preparava la squisita "Konfitür" e io che le chiedevo se poteva essere maestra come Apollonia, la maestra delle marmellate della storiella di Gianni Rodari, se poteva cucinare anche la marmellata di ortiche o di pietre... E lei! si offendeva sul serio!

Poi la vita ti ha portata nelle Dolomiti...

Prima sono arrivata a Trento e poi con mio marito ci siamo spostati a Bressanone, a Schabs, perché io sapevo il tedesco e non l'italiano, che ho imparato dopo. La prima cosa che ho chiesto a mio marito è stato di venire con me nelle valli ladine a vedere i luoghi delle leggende. È stato bellissimo!

Con mia figlia, alcuni anni dopo, abbiamo comprato quello che allora si chiamava il "Passaporto delle Dolomiti". Si doveva andare in tutti gli uffici postali dei paesi delle valli ladine e ti mettevano il timbro. Abbiamo fatto paese dopo paese! Mi ricordo che a Cortina d'Ampezzo l'ufficio postale era chiuso e siamo andati in un bellissimo hotel - e ci guardavano un po' male perché non rappresentavamo proprio la loro clientela - ma noi volevamo il timbro e alla fine ce l'hanno fatto (ride).

Tu e le leggende. Un legame che non si è mai spezzato.

Assolutamente! Qui ho ritrovato la mia gente di montagna. Ci sono tantissime analogie con la mia terra. Quasi incredibile! Di seguito ho conosciuto la lingua ladina. Passando per le valli in macchina ascoltavamo la radio. Ogni valle cambiavamo canale e ogni valle ascoltavamo un'altra variante! Interessante! Con le lingue che conosciamo, italiano, francese, latino, mio marito e io riusciamo a capire quasi il 90%, perlomeno della variante della val di Fassa. È stato molto bello scoprire il mondo ladino in questo modo.

Che cosa ti piacerebbe conoscere ancora del mondo ladino?

Mi piacerebbe conoscere il mondo alpino, il modo di gestire le risorse di montagna e anche l'architettura di montagna. Sono curiosa di natura e tutte queste cose mi interessano molto.

La cittadina di Sabina, Buşteni, ha una storia molto interessante che vede protagoniste anche comunità germanofone, italofone e ladine-furlane, emigrate a cavallo fra Otto e Novecento. La comunità era multietnica e, come non di rado a quei tempi, lo spazio religioso era condiviso fra diverse professioni.

I "Furlans" così veniva chiamata una delle comunità italofone, immaginiamo dal nome proveniente dal Friuli, erano arrivati a Buşteni come falegnami e artigiani. Tanto che, racconta Sabina, l'architettura di Buşteni ricorda moltissimo quella delle regioni di montagna del Cadore (in particolare Cortina d'Ampezzo).

Sabina ricorda gli anni della sua infanzia - è nata nel 1962 - come un periodo di grande di fermento, scambio linguistico e culturale. Ricorda i suoi amici di cortile che parlavano in tedesco, che a casa sua era normale mangiare pasta all'italiana (una sua zia era sposata con un certo Andreotti), che si ascoltava il coro che cantava in tante lingue, che si leggeva tantissima letteratura europea oltre che russa, che si cresceva in un clima aperto e di grande libertà intellettuale, cosa che poi purtroppo si è persa nei decenni successivi.

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